Il parco era tagliato da un'asse coincidente con uno stradone che appariva come l'unico elemento regolato in una morfologia ricca d'anfratti, cavità e irregolarità del terreno. L'asse principale nord-sud, che univa le due parti del parco, al cui centro era posta la villa, era segnato dall'acqua, elemento generatore e assoluto protagonista simbolico del parco.
L'asse idrico andava dalla Fontana di Giove alla Vasca della Lavandaia, proseguiva attraverso il Parco degli Antichi, la villa di Francesco I e il Parco dei Moderni, evidenziando la centralità del Colosso dell'Appennino. Questo, che rimane l'esempio più pregevole degli arredi originali, fu eseguito dal Giambologna in dimensioni gigantesche, e la parte bassa è una grotta esagona dalla quale si accede, mediante una scala, al vano ricavato nella parte alta del corpo e nella testa, che all'interno prende luce dagli occhi. All'esterno la statua è ornata di spugne e concrezioni calcaree, dalle quali versava l'acqua nella piscina sottostante. Alle spalle dell'Appennino si trovava il grande labirinto d'alloro, mentre sul davanti si apriva un ampio prato, con ai lati collocate ventisei antiche sculture.
I vari elementi architettonici del parco erano individuabili grazie alla percezione dei sensi, stimolati dal rumore delle acque e dalle piogge artificiali. A Pratolino, benché fosse un modello culturale imitato in tutta Europa, si cominciarono a registrare fin dal Seicento le prime sparizioni di statue e di impianti idraulici. Il complesso, che era troppo costoso per poter sopravvivere, ebbe un periodo di abbandono con l'avvento dei Lorena. Molte delle statue furono trasferite al Giardino di Boboli, ed il parco diventò una riserva di caccia. Pratolino attraversò quindi anni di abbandono finché nel 1819 il Granduca Ferdinando III di Lorena mutò lo splendido giardino all'italiana in giardino all'inglese, per opera dell'ingegnere boemo Joseph Fritsch.
Questa scelta progettuale comportò l'allargamento delle aree di rappresentanza a spese di quelle coltivate, e l'ingrandimento della superficie del parco da venti a settantotto ettari. I ruderi del parco Buontalentiano furono felicemente inglobati nell'impianto paesistico del nuovo parco. All'ingegnere Joseph Fricks si deve, nel 1822, anche la demolizione del palazzo. Il parco, di proprietà di Leopoldo II dal 1837, fu venduto alla sua morte al principe Paolo Demidoff, che lo ripristinò trasformando il superstite edificio della "paggeria" in comoda abitazione. Dall'ultimo discendente dei Demidoff, la proprietà passò all'Amministrazione Provinciale di Firenze. Nonostante molte opere d'arte originarie siano state rimosse nel corso dei secoli, il parco ne conserva ancora molte di rilevante interesse.
Tra queste si annovera: il Colosso dell'Appennino; la Fonte di Giove, la cui copia fu collocata dai Demidoff alla fine dell'Ottocento; le due mete di spugna; la Cappella, a piante esagonale con loggiato esterno, in cui è sepolta l'ultima principessa Demidoff; la Fonte del Mugnone, la cui statua fu scolpita dal Giambologna (1577);
la Peschiera della Maschera, adibita anche a piscina e attrezzata per bagni caldi; la Grande Voliera; la Fagianeria; la Grotta di Cupido, costruita dal Buontalenti nel 1577; il Casino neoclassico di Montili, realizzato intorno al 1820 dall'architetto Luigi De Cambray-Digny. In tutto il parco sono presenti alberi secolari, tra cui querce, farnie, cedri e ippocastani, veri e propri monumenti naturali ricchi di suggestione |